Ad un anno di distanza, il romanziere statunitense Peter Cameron tornerà in Sicilia. Difatti, dopo essersi innamorato di Messina e delle sue primizie culinarie – in una avvincente due giorni per presentare “Il Weekend” che abbiamo raccontato su questo giornale – Cameron, già autore bestseller con “Un giorno questo dolore ti sarà utile” e “Quella sera dorata” (in Italia tutti i suoi libri sono editi da Adelphi), farà ritorno sull’isola per incontrare i suoi lettori palermitani. L’occasione sarà una doppia presentazione coordinata dalla libreria Modusvivendi: lunedì 16 giugno ore 20.30 (nell’ambito della bella iniziativa “Citofonare Modus”) e martedì 17 alle ore 18.30, con la partecipazione della scrittrice siciliana Beatrice Monroy. Nel capoluogo siciliano, Cameron presenterà “Andorra”, il suo secondo romanzo in ordine cronologico, che arriva in Italia dopo ben diciassette anni dalla sua pubblicazione. Ed era un libro atteso poiché “Andorra” (Adelphi, pp.236 €18) rappresenta il filone più oscuro e noir della scrittura di Cameron – il suo gemello è senza dubbio “Coral Glynn” per complessità di intreccio e tono narrativo – e per tale motivo chi ama la scrittura del fine romanziere nato a Pompton Plains, lo attendeva con grande curiosità. Continua a leggere “Peter Cameron: return to Sicily.”
Riscoprirsi genitori ai nostri giorni può essere scioccante, rivelatorio, rivoluzionario. E non necessariamente in senso positivo, come dimostrano i numerosi romanzi e saggi che dominano le attuali classifiche editoriali, da “Gli Sdraiati” (Michele Serra, Feltrinelli) passando per “Geologia di un padre” (Valerio Magrelli, Einaudi) e “Le attenuanti sentimentali” (Antonio Pascale, Einaudi). Il nuovo romanzo di Antonio Scurati – napoletano, classe ’69 e vincitore del Premio Campiello nel 2005 con “Il Sopravvissuto” – trae spunto dall’assunto iniziale, ponendo al centro de “Il padre infedele” (Bompiani, pp.208 €17) Glauco Revelli, un laureato in filosofia che piuttosto di insegnare ha scelto di diventare lo chef di un blasonato ristorante milanese. Secondo Scurati i genitori d’oggi sono protagonisti di una rivoluzione socioculturale ma quando Giulia, sua moglie, gli si nega, in lui riesplode il desiderio selvaggio, travolto dai mai sopiti «demoni del sesso», scoprendosi infedele non alla coniuge, bensì alla piccola Anita, la figlia che ha cambiato tutte le carte in tavola.
Perché ha dichiarato che fare un figlio oggi è quasi una scelta epica?
«È un paradosso per raccontare la nostra realtà. Dopo un passato millenario in cui la filiazione era un atto naturale dell’esistenza, oggi fare un figlio in occidente è una decisione che riguarda la minoranza delle persone con un atto deliberato, sempre più raro e ragionato. Facciamo un figlio e ci sentiamo eroi, è grottesco ma è così».
Cosa significa che i padri d’oggi sono “madri mancate”?
«Glauco rappresenta l’emblema dei nuovi padri che vengono inclusi nell’accudimento della creatura sin dai corsi pre-parto. Il suo modo d’essere padre di Anita è improntato da un fondamento affettivo, lui impara ad amare la figlia in modo nuovo e inedito prima d’oggi, sino ad instaurare una relazione quasi materna con la figlia».
Perché il suo Glauco molla la filosofia per la cucina?
«Ho scelto di farne uno chef perché sono convinto che la ricerca di una nuova condizione paterna si inserisca in una più ampia crisi della società. Oggi vige il culto smodato del cibo, della cultura enogastronomica e dei suoi eroi, fino ad usurpare la letteratura e il mondo delle arti».
Pressoché in contemporanea al suo romanzo, sono stati editi numerosi libri sui “nuovi padri”. Ne è sorpreso?
«Si tratta di una questione epocale, centrale nella mia generazione. Ciascun libro ha affrontato il tema da una prospettiva diversa ma è una cesura storica ed è soltanto un bene che se ne sia scritto tanto».
Lei scrive “Se le lasci andare le persone se ne vanno”. Una frase semplice che mette davanti ad una fine inevitabile per le relazioni?
«Sembra una di quelle frasi che rasentano la banalità ma solo oggi è diventato ovvio. Questa frase sottolinea la tragicità a bassa intensità della nostra vita emozionale. Mentre una volta i rapporti con le persone erano sorretti da una possente impalcatura sociale che faceva pressione affinché le coppie e le famiglie rimanessero unite con obblighi e condizionamenti morali conseguenti; oggi tutto questo è venuto meno, siamo lasciati a noi stessi e tutto dipende dalla nostra capacità e volontà di coltivare le relazioni. E’ un’enorme fatica e anche un pò una vera e propria condanna. Gli individui da soli non uno straccio di possibilità di farcela».
Come si vive al tempo del precariato? Quando l’instabilità ingloba tutto, sentimenti salute e lavoro, come si può anche pensare d’essere felici? E allora dovremmo forse smettere di crederci, piantarla di aspettarci il lieto fine e vivere in modo spietato e disilluso? L’esordiente Silvia Noli propone una terza via, ilare ma sagace, che mette in pagina nel suo “Adelante”, in libreria dal 20 febbraio per Fazi editore (Le Meraviglie fiction, pp.272, €13). Di lavoro in lavoro in lavoro, di precariato in precariato e con una famiglia alle spalle colorita, litigiosa e certo non d’aiuto, la protagonista di “Adelante” cerca un equilibrio in un tempo in cui tutto sembra sottosopra, senza però rinunciare al sorriso, al lato surreale della vita. Riccardo Gazzaniga (autore di “A viso coperto”, vincitore XXV° Premio Calvino) l’ha definita la Amelie Nothomb italiana. In anteprima per il mio sito, francescomusolino.com, l’esordiente Silvia Noli si racconta, rispondendo alla dichiarazione-provocazione di Fabio Volo su quanto valga uno stipendio da 1200 euro al mese…
“Avanti, sempre avanti”. Un motto di speranza per sopravvivere?
«Si, se l’interessato, come la protagonista di questa storia, non è in grado di ‘stare’, per cui crede di trovare scampo in un perenne moto da luogo e da se stessa, senza accorgersi di essere sempre punto a capo, soltanto più ammaccata. D’altra parte ‘stare’ con se stessa e con la realtà circostante richiede un grado di consapevolezza che non possiede ma della quale inizia a sospettare l’importanza… Allora via di nuovo a pedalare, in ricerca, ma di fretta, nell’unica modalità di cui è capace. Un viaggio maccheronico, di cui vale la pena tenere un diario e scattare foto a panorami e compagni di brigata. Ripercorrere i vissuti è d’altronde un lavoro da cercatori d’oro, ogni accidente, ogni personaggio è una pepita da cui estrarre aneddoti comici, insegnamenti, mattane e inaspettate rivelazioni». Continua a leggere “«Non esiste una ricetta per trovare la felicità». Intervista in anteprima a Silvia Noli, da oggi in libreria con “Adelante””
Cos’hanno in comune Il Caimano, My Name is Tanino, Caos Calmo e Habemus Papam? Tutti questi film – e molti altri ancora – portano la firma di Francesco Piccolo alla sceneggiatura. Dietro il successo di Habemus Papam che ha trionfato alla 65a edizione dei Nastri d’Argento a Taormina con ben 6 premi, scopriamo i frutti di una squadra ormai affiatata formata proprio da Piccolo, Nanni Moretti e Francesca Pontremoli. Dopo il trionfo dell’anno scorso per La Prima Cosa Bella, per Piccolo – firma de L’Unità, attualmente in libreria con Momenti di Trascurabile Felicità(Einaudi) – il Nastro per il miglior soggetto appena vinto, ha un sapore particolare…
Com’è nata l’idea di “Habemus Papam” e come si è sviluppata?
«Nanni, Federica Pontremoli ed io eravamo al lavoro su altri progetti e altre storie che sembravano pronte ad esplodere. Ma improvvisamente, come spesso accade con Nanni, questa storia del Papa ha preso il sopravvento e ci siamo dedicati interamente ad essa».
Ha lavorato con numerosi registi noti, da Virzì a Soldini sino a Placido. La collaborazione artistica con Moretti ha particolari peculiarità?
«Ha punti di contatto e differenze con gli altri cineasti italiani. Credo che la sua caratteristica fondamentale sia la lentezza. Quando lavoro con lui, l’obiettivo è quello di cogliere al massimo l’introspezione del personaggio e soprattutto cerchiamo sempre di arrivare a soluzioni narrative poco consuete. Noi tre scriviamo sempre tutto insieme, anche quelle scene apparentemente marginali che molti registi lasciano nelle mani degli sceneggiatori. Questo scambio e confronto continuo è un grande stimolo artistico».
Cinema e letteratura: come cambia il suo modo di approcciarsi alla scrittura?
«Sono due tipi di scritture totalmente diverse dal punto di vista tecnica e la prospettiva muta soprattutto perché per scrivere un soggetto o una sceneggiatura, devi confrontarti sempre con altri punti di vista mentre la letteratura è un’arte solitaria che spinge a confrontarti con te stesso. Ci sono differenza ma non ne curo perché nella sostanza mi importa solo poter raccontare delle storie. Il cinema e la letteratura sono due espressioni, diverse ma complementari, dello scrivere».
Vincere un altro Nastro a Taormina è un momento di trascurabile felicità?
«Certamente! E’ un momento di felicità, trascurabile ma neanche troppo perché ricevere un premio fa sempre piacere».
MESSINA. ‹‹LʼEtna è un vulcano simpatico, un vero fuoco dʼartificio, niente a che vedere col Vesuvio››. I ricordi di quellʼanno passato a Sigonella a scaricare aerei riportano Erri De Luca sotto il cratere dellʼEtna ma il centro del suo mondo narrativo è da sempre Napoli, da cui si è estratto a diciottʼanni, ‹‹come fosse un dente dalla mandibola››, quella Napoli fatta di vicoli intricati cui sente di appartenere, che porta dentro di se ancora oggi, ricreandola nel suo cuore come sulla pagina e che troviamo anche nel suo ultimo romanzo “Il giorno prima della felicità” (Feltrinelli Editore – pp.144 – € 13). Erri De Luca risponde alle domande con tono posato, ciascuna parola è pesata, evocativa quasi e sentirlo parlare rammenta la dolcezza, la malinconia provata leggendo le sue pagine: ‹‹Scrivo per ritrovare parte del mio passato, ma non provo alcuna nostalgia, non vorrei tornare in nessuna stazione precedente. Napoli è un luogo in cui non posso tornare, quel luogo da cui io provengo non esiste più››.Continua a leggere “«La mia vita tra i vulcani». A tu per tu con lo scrittore Erri De Luca”