Marco Bellocchio sulla banalità del cinema italiano: «Oggi viviamo in tempi di guerra»

TAORMINA. A soli 26 anni, nel 1965, Marco Bellocchio esordì e divenne famoso con “I pugni in tasca”, un film che coglieva pienamente lo spirito di ribellione e protesta di quegli anni che sfociò nel Sessantotto. Con gli anni Bellocchio non ha mai messo da parte la sua grinta – si pensi a “L’ora di religione”, “Buongiorno, notte” e “Nel nome del padre” – attaccando spesso le convenzioni sociali e l’industria cinematografica: «Il diploma al Centro Sperimentale di Roma è stato ridicolo, non mi è servito a nulla. Sono andato via dall’Italia per capire se volevo davvero fare il regista e credo che il distacco sia stato benefico». Alla 56a edizione del Taormina film fest ha ricevuto il Taormina Arte Award ma anche oltreoceano il film ha riscosso grande successo. A gennaio porterà a teatro la riduzione teatrale del suo film d’esordio, con il figlio Piergiorgio e Ambra Angiolini nei ruoli dei protagonisti. Dopo i successi di “Vincere”, Bellocchio sta cominciando a lavorare ad un viaggio nell’Italia dei giorni nostri, «fra i tanti paradossi e i fasti del potere».

Lei ha spesso attaccato le “scuole cinematografiche”. A cosa servono?

«A nulla. Oggi i giovani apprendono molto velocemente l’abc del cinema e sono molto ferrati sulle innovazioni tecniche, molto più di me. Il vero problema sta nel saper scrivere la sceneggiatura e nel lavoro con gli attori. Oggi ci sono film ben montati, con una buona musica e una bella fotografia ma spesso sono recitati male. Magari è anche colpa del soggetto ma il più delle volte è la diretta conseguenza della devastazione televisiva che continua a sfornare dei divi da reality o da fiction che non recitano, mormorano come nella vita quotidiana. Non sono dei cani, non sono proprio attori. Nessuno di questi potrebbe recitare Shakespeare o Pirandello».

Le piace il cinema italiano contemporaneo?

«Il cinema oggi è messo in un angolo, la tv ha assorbito tutti gli spazi. Ovviamente sarebbe meglio puntare su storie e visioni originali evitando di cadere nella banalità. Ma tutto questo è contraddetto dal fatto che la gran parte del cinema italiano è di una qualità davvero mediocre che incassando molto riesce a far sopravvivere anche quei pochi film buoni. E’ un discorso davvero complesso. I film natalizi incassano moltissimo perché viviamo in anni di grande inquietudine e il pubblico cinematografico desidera divertirsi ed evadere. Oggi il genere drammatico attrae poco, esattamente come accadeva negli anni della guerra. Anche oggi siamo in anni di guerra. Non è tutto da buttare perché ci sono tanti singoli autori davvero validi ma manca una visione d’assieme, credo che il cinema italiano sia inferiore alla somma delle sue parti».

Taormina ha ospitato al Teatro Antico l’anteprima mondiale di Toy Story3D. Le è piaciuto?

«Negli anni ’50 avevo visto qualche film in 3d che poi scomparve per ricomparire oggi. E’ un film molto americano, un po’ stucchevole e con l’inevitabile lieto fine. A dire la verità ero incerto se restare o andar via, alla fine sono rimasto anche sorpreso dalle sequenze finali che mi hanno persino emozionato».

Dopo “Vincere” sta realizzando “Italia Mia”. Un atteso ritorno all’attualità.

«Ho creduto molto in“Vincere” soprattutto perché lo ritengo un film molto attuale, addirittura la critica estera si è soffermata sul paragone Mussolini-Berlusconi a cui io non pensavo affatto. Sto realizzando “Italia Mia”, un film sui nostri anni che sarà molto difficile da realizzare vista la prudenza dei produttori oggigiorno. In questo film parlerò dei paradossi di una certa Italia. Ad esempio dell’assurdità di realizzare un museo a Ravamusa che non ha avuto neanche un visitatore per diversi mesi. Sarà un film complesso, difficile da finanziare, perché voglio rappresentare anche i fasti di chi domina e detiene il potere».

A proposito di tempi di guerra, la riduzione teatrale de “I pugni in tasca” è un segnale di un rinnovato impegno?

«C’è curiosità e interesse attorno a questo lavoro teatrale, conseguenza di un interesse del mercato. E’ certamente un segnale positivo ma visti gli anni in cui viviamo sarà necessario attendere il responso del pubblico».

 

Fonte: L’Editoriale, Luglio 2010

Kusturica a tutto campo: “Se Hitler avesse avuto una tv nessuno avrebbe potuto fermarlo”

TAORMINA. Il funambolico regista serbo, Emir Kusturica, era una delle star più attese della 56a edizione del Taormina Film Fest. Le aspettative erano grandi non solo per aver la possibilità di incontrare il regista di capolavori quali “Underground” o “Gatto nero gatto bianco” ma soprattutto per il suo netto rifiuto allo stile hollywoodiano del “politically correct”. Emir dice sempre le cose in modo chiaro, diretto. E un regista con idee proprie, oggigiorno, non può non far notizia:

“Negli anni ’70, a Londra e a New York, i giovani facevano la fila per vedere i film d’autore. Oggi le file si fanno solo per acquistare l’iphone. Hollywood ci ha abituato a storie “facili”, film “semplici” da fare ma alla base della creatività io metto l’elemento mistico, l’emozione allo stato puro”.

 

Cosa intende per misticismo?

“Nel film “La vita è un miracolo” parlavo del dramma della guerra che ha devastato la mia terra. Volevo un tono che sfiorasse il melodramma perché se io non mi fossi potuto aggrappare alla macchina da presa sarei stato destinato all’autodistruzione. Per questo credo che ci siano luoghi magici che favoriscono la creazione. Credo che ci sia del misticismo alla base del concetto stesso d’arte e questa pesca necessariamente nell’inconscio”.

Perché ha voluto girare “Maradona”?

“La vita di Maratona non è stata affatto facile ma io mi identificavo con lui e per questo ho dato vita a questo progetto. E’ stato molto difficile ma lui era sulla porta dell’Inferno ed era l’unico modo per farlo rinascere. Pensate che sono andato a Buenos Aires per ben 4 volte e due di queste non l’ho nemmeno incontrato perché stava ancora cercando di uscire dal tunnel della tossicodipendenza e nella ultima scena del mio film è evidente che lui fosse completamente “fatto”. Volevo aiutarlo a restare in piedi, a risorgere, ma la mia era anche una sfida perché sino a quel momento non si era mai aperto dinanzi alla telecamera, anzi, ostentava spesso un atteggiamento fiero, aggressivo persino ma lui questa sfida l’ha accettata. Sono convinto che lui finga di essere una persona molto razionale ma è come se nel suo cervello ci fosse un “mosquito” che gli fa perdere improvvisamente la ragione, completamente sino ad investire i giornalisti con la macchina. E’ stato difficile realizzare questo film perché nella vita come sul campo, Maradona era imprendibile. Ho dovuto braccarlo come un paparazzo ma oggi sono ancora più convinto che per fare dei film “veri” bisogna soffrire come gli animali”.

Maradona è amico di Castro e più volte ha attaccato l’America imperialista. Lei direbbe che è un rivoluzionario?

“Finge d’esserlo ma avrebbe potuto esserlo per davvero, aveva i soldi per farlo”.

Anche Bono Vox dice d’essere molto impegnato a livello sociale ma poi dimentica il cappello e lo fa viaggiare in prima classe

“E’ un paragone che non regge anche perché Bono è amico di George Bush e soprattutto lui sa gestire la sua immagine alla perfezione, invece Maradona è genio e follia insieme. Jim Jarmush, non a caso, lo definisce un fuorilegge”.

Anche Hugo Chavez è un bluff?

“Non credo. Lui amministra la ricchezza della sua terra, il petrolio, non solo con l’idea di accrescere la propria visibilità e il proprio potere ma soprattutto con l’idea di rendere più ricco il proprio popolo. Sul fronte italiano non amo particolarmente Berlusconi, anzi sono preoccupato per la libertà di stampa nel mondo. Certo quando ho visto che era stato colpito al viso ho provato compassione per lui, insomma è sempre un essere umano”.

Che impatto hanno i nuovi media sul cinema?

“Oggi tutti possono fare un film persino col cellulare, il processo di democratizzazione dei media lo permette ma molti dovrebbero avere l’onestà mentale di non farlo. O parliamo di quantità o parliamo di qualità, pensate che quando vinsi Cannes nel ‘95 gareggiai con 700 film, oggi andrei contro 3mila. Ma comunque c’è sempre il problema della distribuzione perché Hollywood è un’industria e il profitto vince su ogni cosa per loro per cui invito tutti i giovani a studiare i classici e a fare film veri anche se spesso non si trovano i soldi necessari per la distribuzione e oggi i soldi dominano su tutto. I media sono molto importanti per controllare la massa, del resto sono convinto che se Hitler avesse avuto una tv nessuno avrebbe potuto fermarlo”.

Spesso nei periodi critici il cinema sforna capolavori. Avvenne così durante Reagan e Nixon, ma oggi?

“I film degli anni ’70 mostravano personaggi normali mentre oggi si parla solo di supereroi e per questo che io non mi ritrovo più nei film di Hollywood. Il vero problema è che il sistema risucchia tutto, confeziona un pacchetto e gli autori, anche i più dotati, perdono le proprie idee. Alla fine anche “Gomorra”, il film più bello che ho visto negli ultimi vent’anni, perché riporta la scena sul territorio in modo drammaticamente reale e dimostra come la mafia non sia solo crimine ma un vero e proprio stile di vita, viene risucchiato dal mezzo tecnologico che diventa più importante del messaggio del film stesso”.

Sta lavorando su due nuovi progetti. Di cosa si tratta?

“Ogni progetto parte da una scintilla ma devi avere il coraggio di seguirla. Con “Pancho Villa”, farò vestire al mio amico Johnny Depp, i panni di questo assassino diventato eroe. Ho voluto Johnny perché è rimasto toccato da “il tempo dei gitani” e ha già recitato in “Arizona Dream”, è un uomo di quasi 50 anni che vive di cinema ma non fa parte dell’industria che gli ruota attorno. Cominceremo a girarlo a novembre ma trovare i fondi è stato difficilissimo perché tutti oggigiorno, hanno paura dei temi socio-politici. E’ come se ci dicessero che non dobbiamo pensare troppo”.

E il secondo progetto?

“Si chiamerà “Cool Water”. Porterò il cinema sul dramma mediorientale ma senza attaccare né Israele né la Palestina, solo con l’obiettivo di concentrare l’attenzione sull’atmosfera surreale che vige in quei luoghi. E’ la storia di un viaggio ad Amburgo di una stripper palestinese che deve raggiungere il fratello per il suo matrimonio. Ma nel frattempo il loro padre muore e nel testamento lascerà scritto che vorrebbe essere sepolto a Ramallah. Un’impresa impossibile al giorno d’oggi. A questo punto tutto muta e diventa un road-movie anche con scene esilaranti e alla fine, il funerale del padre sostituirà il matrimonio del fratello”.

Dopo Maradona ha ancora voglia di stare davanti la pellicola?

“Solo per molti soldi. Mi servono per finanziare il Kustendorf film fest che si tiene nella mia città natale, a Mokra Gora”. E poi scoppia a ridere.

 

Fonte: www.affaritaliani.it del 15/03/2010

 

Valentino: «Il mio sogno è sempre stato quello di poter vestire qualsiasi tipo di donna»

Taormina. Elegantissimo, in un completo di lino bianco con cravatta beige su camicia celeste e mocassini bianchi, lo stilista per eccellenza,Valentino Garavani, fa il suo ingresso sul palco del PalaCongressi di Taormina. Per cinquant’anni ha rappresentato l’essenza del Made in Italy diventando una vera e propria icona vivente, sino a “forgiare” un colore personale con cui ha firmato il proprio lavoro, quel “rosso valentino”, creato dopo un viaggio in spagna, che è entrato a far parte persino del dizionario comune. Il glamour e la classe degni di un festival che si rispetti, tornano a Taormina e la felicità del direttore artistico Deborah Young, che in America sognava i suoi abiti, è sinceramente condivisa da tutto il pubblico. Compreso chi vi scrive.

Valentino le piace Taormina?

«Sono un grande frequentatore di Taormina, trovo che sia un posto straordinario, una vera e propria perla. Senza dubbio i suoi colori mi hanno spesso ispirato. Passeggiando per il corso sono stato felice di vedere i ragazzi e le ragazze indossare colori e non quel trionfo del nero che domina nelle metropoli oggigiorno».

Il docu-film “Valentino. L’Ultimo Imperatore” racconta il suo ritiro dalle scene della moda, una vera e propria celebrazione che ha raccolto grande successo. Eppure lei non era affatto convinto…

«All’inizio, sinceramente, questo progetto non mi piaceva. Ci sono voluti 2 anni di riprese e spesso mi accorgevo troppo tardi che avevo la telecamera alle spalle. Avrei preferito che diverse scene e sfoghi rimanessero fuori dal film ma poi, a furia di vedere il successo che la pellicola otteneva proiezione dopo proiezione, mi sono reso conto che questo era il modo migliore per raccontare la mia storia, riprendendomi in azione, senza alcuna censura. Dovete credermi se vi dico che le macchine da presa erano dovunque. Avrei voluto che non riprendesse almeno la prova finale degli abiti, un momento che reputo sacro, ma non potevo impedirlo. Da oltre 240 ore di girato, il regista Matt Tyrnauer ha tirato fuori una sintesi che, dicono, essere perfetta».

Oggi il lusso rischia di scomparire con l’invasione del Made in china?

«Logicamente la moda cinese tenta di imitare la foggia e la varietà dei tessuti europei ma non credo che l’alta moda possa più rinascere. Io ho smesso al momento giusto, ne sono convinto. La Cina e altri paesi molto lontani non possono imitare il nostro stile ma imporranno abiti di massa e dal taglio comune. Comodi e poco costosi. Ma certo non lussuosi o eleganti».

C’è un archetipo di bellezza cui lei si rifà, una donna perfetta?

«Ho sempre disegnato, sin dai miei esordi, ispirato da quelle dive del cinema dei tempi passati che, in qualsiasi occasione, erano sempre eleganti ed impeccabili. Chi fa alta moda tiene conto di proporzioni perfette, misure ben precise. Ma ovviamente la mia idea, il mio sogno, è sempre stato quello di poter vestire qualsiasi tipo di donna, non solo un’elité. Sono convinto che qualsiasi donna, con un piccolo sforzo, possa diventare bella e per me è stato un vero onore poterle vestire».

Lei crede in Dio?

«Credo molto, la fede è  un lato molto importante della mia vita. La mia vita mi ha dato successo e soddisfazioni ma l’essere credente mi ha sempre dato la forza necessaria per andare avanti».

Davvero non vorrebbe tornare sulla scena della moda?

«Adorerei poter continuare. Ho duemila idee che mi ronzano nella testa ma era il momento di voltare pagina e dedicarsi ad altro. Ho disegnato i costumi per il primo dell’anno all’Opera di Vienna e voglio lavorare a stretto contatto con il teatro. Inoltre sto allestendo nella mia casa di Parigi, un’enorme stanza con tutti i miei disegni, a disposizione degli studenti di moda. Un modo per mettere a disposizione di chi lo vorrà, la mia esperienza, i miei studi e forse persino i miei sogni».

 

Consigli d’autore da Marsala

Oltre sessanta “big” dell’informazione – da Marco Travaglio a Peter Gomez, da Luca Telese a Carlo Lucarelli, da Massimo Carlotto ad Antonio Pascale – e noti personaggi del mondo dello spettacolo e della musica – come Lella Costa, Serena Dandini e Paolo Fresu – sono stati protagonisti della tre giorni del 2° festival del giornalismo d’inchiesta “A Chiarelettere”, svoltosi a Marsala (organizzato dall’agenzia Communico, Mismaonda e la casa editrice Chiarelettere con il patrocinio del Comune di Marsala e la fondamentale partecipazione a titolo gratuito di tanti ragazzi marsalesi). Il tema centrale della kermesse era Viva Italia, biografia di un paese da inventare, spunto per una riflessione sul nostro paese, ormai prossimo al suo 150° anniversario, e su alcuni temi sempre caldi come immigrazione, lavoro, precariato, corruzione, speculazioni edilizie e “la cricca”. Ma al contrario di ciò che si potrebbe pensare non si è dato adito ai facili pessimisti, anzi, è stato proprio Marco Travaglio ad affermare: «questo non è certo un momento allegro eppure è sicuramente interessante perché prossimo a grandi cambiamenti che non potranno non riguardare tutta la collettività».

 

Ecco i consigli di lettura d’autore Satisfiction.

Luca Telese: Per chi è appassionato dei misteri italiani consiglio “Piazza Fontana, noi sapevamo” diAndrea Sceresini, Nicola Palma e Maria Elena Scandaliato. E’ l’appassionato lavoro di tre ragazzi che hanno dato una lezione di giornalismo a tutti andando sino in Sudafrica senza alcuna certezza né rimborso spese, per intervistare il generale – dichiarato latitante – Gian Adelio Maletti. Un’inchiesta bellissima che racconta molti misteri italiani, godibile anche per chi non sa nulla per gli anni di piombo.  Una vera lezione di giornalismo fatta da tre ragazzi giovanissimi di cui dovremmo far tesoro.

 

Carlo Lucarelli: Non è mai facile consigliare un libro ma io suggerisco l’ultimo che ho letto, “A long, long way” di Sebastian Bailey. E’ la storia di un ragazzo irlandese che diventa grande durante la prima guerra mondiale facendo il soldato. Sento parlare spesso di rabbia, delusione e questo libro di guerra in trincea mi è sembra un perfetto specchio di questi tempi.

 

Serena Dandini: Senz’altro “Hanno tutti ragione” di Paolo Sorrentino. Un romanzo assolutamente fuori dagli schemi con uno stile contenuto che coinvolge il lettore sino a fargli sentire davvero vicino il protagonista, Tony Pagoda. Sorrentino ha una capacità narrativa straordinaria che gli permette di parlare con ironia ma anche con profondità, dell’Italia degli anni ’60 guardando ai giorni nostri.

 

Lella Costa: “Boy A” di Jonathan Trigell (premiato con l’”Edoardo Kilhgren Opera Prima”), un libro davvero sorprendente che porta sulla pagina una vicenda che ha sconvolto l’Inghilterra molti anni fa ovvero l’uccisione di un adolescente per mano di suoi coetanei. Trigell immagina la vita di uno dei protagonisti ed io sono rimasta affascinata dalla forza della sua scrittura.

 

Paolo Fresu: Suggerisco “Conversazioni con Glenn Gould” di Jonathan Cott. Un libro illuminante perché lo possono leggere gli appassionati di musica ma anche coloro che non la conoscono affatto. Gould riesce a raccontare il mondo della musica con metafore suggestive e con un linguaggio sorprendente che riesce a trasportare altrove il lettore.

 

Antonio Pascale: Consiglio “Pane e Bugie” di Dario Bressanini non solo perché sfata i luoghi comuni legati all’alimentazione ma per la metodologia critica che utilizza. Bressanini svela con chiarezza il processo mentale che sta dietro la formazione delle stesse opinioni nel “sentire comune” e ciò differenzia nettamente questo libro dagli altri che affrontano lo stesso tema.

 

Francesco Piccolo: Ho amato moltissimo il libro di Edoardo Nesi, “Storia della mia gente”. E’ prezioso perché nella nostra narrativa i racconti dell’alta borghesia, del mondo industriale, sono molto pochi e Nesi racconta il decadimento dell’industria tessile di Prato con lucidità ma, visto che lo fa in prima persona, anche con grande dolore ed empatia. Inoltre mi piace sottolineare il contributo che un romanziere può dare al mondo dell’inchiesta proprio perché può usare una scrittura fatta di esperienza vissuta che può risultare davvero molto potente.

 

Giorgio Vasta: Ho trovato caldo ed incandescente nelle sue percezioni l’ultimo libro di Carlo De Amicis, “La battuta perfetta”. Vi si descrive il percorso di uomo, Canio Spinato, dominato dal desiderio di piacere che prenderà nettamente le distanze dal proprio padre, funzionario RAI legato ad un’idea pedagogica della tv. La scalata del protagonista alle reti commerciali, la sua completa adesione “ai consigli per gli acquisti”, lo porterà a divenire consulente personale  di Silvio Berlusconi per tutto ciò che riguarda le sue battute e la volontà di piacere agli altri. Credo De Amicis riesca ad individuare cos’è accaduto da un punto di vista antropologico alla nostra società e come sia cambiato il concetto stesso di vergogna.

 

Ferruccio Sansa (giornalista de Il Fatto Quotidiano): Consiglierei “Due” di Irène Némirovski, un libro che indaga i rapporti fra uomo e donna. L’autrice, che morì nei lager nazisti, descrive  una lucida analisi della passione che lega i due protagonisti ma analizza anche i singoli componenti che fanno parte di un legame amoroso, influenzando inevitabilmente l’andamento del rapporto stesso.

 

Lorenzo Fazio (direttore editoriale Chiarelettere): Vorrei consigliare “Questo è il paese che non amo” di Antonio Pascale perché è un libro che ci aiuta molto a ragionare sulla mancanza di stile, cultura e bellezza degli ultimi anni di questa nostra Italia martoriata. In Pascale troviamo una denuncia sacrosanta che però ci aiuta anche a riflettere sui nostri giorni, dandoci lo stimolo per ricominciare ad impegnarci in prima persona. Pascale, inoltre, ci fornisce i mezzi per ripensare alla nostra società, portando avanti una cultura di tipo più scientifico che non tenga conto solo dell’emotività ma anche della ragione.

 

Massimo Carlotto: Consiglio “Tre secondi” di Roslund Anders e Hellström Börge perché sconvolge completamente la nostra immagine del romanzo nordico, raccontando per la prima volta l’infiltrazione della mafia polacca in Svezia e di come questo paese, così democratico e civile, reagisca. Un libro dal taglio mediteranno che va assolutamente letto.

 

Fonte: Satisfiction del 3 giugno 2010

Marco Travaglio attacca: «Più fanno leggi ad personam, più dimostrano la loro debolezza»

Marco Travaglio
Marco Travaglio

Era l’ospite più atteso al festival del giornalismo d’inchiesta. E non ha deluso il suo pubblico.
Torinese classe ’64,editorialista e co-fondatore de Il Fatto Quotidiano. Fra i tanti nomi eccellenti presenti 2° festival del giornalismo d’inchiesta “A Chiarelettere”, Marco Travaglio era certamente il più atteso e difatti il suo incontro/spettacolo, Povera Patria, era davvero gremito, colmando ogni tipo di posto disponibile nel cortile del Complesso San Pietro che l’ospitava. Continua a leggere “Marco Travaglio attacca: «Più fanno leggi ad personam, più dimostrano la loro debolezza»”