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I nuovi mediatori culturali, dal web alla radio, dalla carta stampata alla tv.

zanchiniLa 29esima edizione del Salone Internazionale del libro di Torino è stata archiviata registrando, nell’arco delle cinque giornate complessive, un incremento di visitatori del 4,05% rispetto al 2015. Verrà ricordato come il Salone dei giovani (oltre 25.000 complessivi) e degli eventi in diretta streaming. Questa è stata l’edizione della kermesse torinese che ha concesso più spazio alle tematiche food e delle code sterminate per accedere agli eventi sold-out con Checco Zalone, Luciano Ligabue e Roberto Saviano. Ma una volta chiusi i cancelli, liberati gli stand dei padiglioni del Lingotto, restano sul campo tante domande sul futuro dell’editoria. Leggi il resto di questa voce

#HoLettoCose – Panorama (Tommaso Pincio, NN editore, 2015).

#HoLettoCose – Panorama (Tommaso Pincio, NN editore, 2015).

  33443296_serie-viceversa-tommaso-pincio-rosa-mogliasso-1I libri belli arrivano al momento giusto, ne sono convinto. Nell’ultima notte del Salone del Salone del Libro di Torino – dopo una tre giorni di incontri, eventi ed interviste – mi ha colto l’insonnia. Ormai la prendo con filosofia; anziché dannarmi, ho aperto la borsa ai piedi del letto, cominciando a leggere il libro che avevo tenuto da parte per il viaggio dell’indomani: Panorama di Tommaso Pincio.

  Erano le 4 e quando l’ho terminato fuori già albeggiava. Immediatamente ho capito due cose:

  1. ero già in ritardo per fare i bagagli
  2. Panorama è un gran libro.

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«La parola contraria. La mia». Intervista ad Erri De Luca

Erri De Luca

Erri De Luca

«Soutien a Erri De Luca – Le parole non si processano. Le parole si liberano». Il quotidiano francese Libération – lo stesso che ha ospitato la redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo dopo la strage del 7 febbraio – ha lanciato una petizione in difesa del poeta, scrittore ed erudito traduttore dall’ebraico, il 64enne Erri De Luca, che rischia sino a cinque anni di carcere per istigazione contro la realizzazione della Tav Torino-Lione. La scintilla fu una fatidica intervista concessa nel settembre del 2013, lo scrittore affermava: «…la Tav va sabotata. Ecco perché le cesoie servivano: sono utili a tagliare le reti. Nessun terrorismo… sono necessari per far comprendere che la Tav è un’opera nociva e inutile… hanno fallito i tavoli del governo, hanno fallito le mediazioni: il sabotaggio è l’unica alternativa…». Proprio per raccontare il senso delle sue azioni e delle battaglie di libertà, Erri De Luca ha incontrato i suoi numerosissimi lettori alla Feltrinelli Point di Messina, incantando con il racconto del proprio passato, a cavallo fra i fantasmi dei bassi napoletani e le pagine dei libri amati. Del resto la fede nell’anarchia, nacque quand’era ancora giovanissimo leggendo “Omaggio alla Catalogna” di George Orwell e tutto ciò viene rievocato anche nel suo pamphlet “La Parola Contraria”, edito da Feltrinelli (pp.64 €4). In sostegno delle sue ragioni si è mobilitata la rete NoTav della Val di Susa e i suoi lettori ma anche il popolo della rete, lanciando hashtag come #IoStoConErri e #JeSuisErrì. Di fatto dopo i fatti di Parigi del 7 febbraio, i giudici del tribunale di Torino dovranno dunque decidere se bisogna difendere il diritto alla libertà di parola, il diritto alla parola contraria di cui parla De Luca o se sia lecito che ciò valga una condanna. De Luca, dal canto suo, ha già dichiarato la sua ferma intenzioni nel caso in cui venga condannato: «Se mi condanneranno non farò ricorso in appello. Se dovrò fare galera per avere espresso un’opinione, allora la farò». Il processo è stato rinviato al 16 marzo e durante l’udienza De Luca verrà interrogato dall’accusa, a porte aperte. Leggi il resto di questa voce

#ReaderguestTuttiConvocati al Salone del Libro. L’evento @Stoleggendo

 

Mappa Evento #ReaderguestTuttiConvocati @Stoleggendo

Mappa Evento #ReaderguestTuttiConvocati @Stoleggendo

Amici di @Stoleggendo, ci vediamo dal vivo?
Il progetto lettura noprofit @Stoleggendo cresce tweet dopo tweet e visto che il Salone del Libro di Torino è alle porte e molti di noi – volenti o nolenti – ci saremo un pò tutti…
Perché non incontrarsi, ma dal Vivo, in carne e ossa, non solo byte e tweet…Sarà un evento abusivo, impulsivo e spontaneo, nato dalla voglia di vederci e magari farsi un mega #selfie.

E piuttosto che vederci al bar o al pub – quello magari dopo – vi invito tutti allo stand de Gli Amanti Dei Libri STAND A103 pad./pav. 1 (ACCANTO SALA ROSSA) con Riccardo Barbagallo già readerguest a fare gli onori di casa.

Dovevo scegliere un orario e un giorno…
Sabato 10 maggio alle ore 17. Spero di vedervi tutti…e sennò ci becchiamo fra gli stand!

p.s. vorrei che tutti i #readerguest fossero e si sentissero organizzatori di questo evento!

Ok d’accordo ci vediamo, siamo ‪#‎readerguest‬ e ci vediamo. 
Quando? sabato 10 maggio. 
Alle? 17. 
Ma dove? Al Salone del Libro!
Certo, ma dove!?
STAND A103 pad./pav. 1 (ACCANTO SALA ROSSA) ed eccovi la mappa! 

Vi aspetto! Qui l’evento su Fb

Francesco 

Il mondo editoriale che non t’aspetti. Intervista ad Alice Di Stefano, autrice di Publisher

Alice Di Stefano per professione è un editor. Figlia della compianta scrittrice Cesarina Vighy, ha creato la collana Le Meraviglie – incentrata sulla narrativa umoristica in ogni sua sfumatura – e si occupa della narrativa italiana a tutto tondo per la casa editrice Fazi dal 2008, scegliendo e curando i testi degli autori italiani, esordienti e non. Con “Publisher” (pp.348 €16), ha coraggiosamente scelto di esordire – proprio edita da Fazi – ponendo al centro del suo libro d’esordio…se stessa e suo marito, Elido Fazi ovvero il Publisher, l’Editore. Messa così potrebbe sembrare un libro meramente farsesco e autocelebrativo ed invece la Di Stefano padroneggia bene il genere dell’autofiction – in gran voga in Francia mentre in Italia è Antonio Pascale il suo più riuscito interprete – e armatasi di una bella dosa di ironia ha voluto raccontare la sua vita a stretto contatto con il mondo editoriale italiano, fra luci ombre e protagonismi d’ogni sorta. Se all’inizio era quasi uno scherzo, Publisher finisce per fotografare il mondo editoriale da dietro la scrivania, dalle riunioni interne alle cene con gli autori, dai brindisi festosi sino alla crisi attuale, consegnandoci un ritratto divertito e divertente, senza troppi fronzoli né deferenza.

Con un tono ironico tratteggia la follia, il lato grottesco, l’estrosità del mondo letterario. Com’è nato questo libro?

«Il mondo letterario in realtà era solo lo sfondo su cui far muovere i miei personaggi, appartenenti di necessità all’ambiente dell’editoria. Il protagonista del libro, infatti, dopo aver vissuto diverse metamorfosi attraversando i settori più diversi (dal giornalismo economico al business alla politica), decide di diventare editore. Al centro del romanzo pongo la vicenda paradigmatica di un ragazzo che, partendo da un piccolo paese di provincia, arriva a costruirsi una vita e una carriera grazie a un carattere e una tenacia davvero speciali. I miei modelli, a dire il vero, per questa che si potrebbe definire un’auto-biofiction umoristica, sono stati la commedia sofisticata americana degli anni Trenta ovvero quei film con coppie litigiose che vanno avanti a forza di battute brillanti e piccoli dispetti per tutta la durata del film». Leggi il resto di questa voce

Patrick McGrath: «In tutti noi c’è un pizzico di follia»

patrick-mcgrath-po_2565831bDopo aver presentato in anteprima mondiale al Salone del Libro di Torino il suo ultimo libro, “L’Estranea” (Bompiani, pp. 292 euro 18,50), il noto scrittore inglese Patrick McGrath – autore del best-seller “Follia” – è tornato in Italia in occasione della Milanesiana, intervenendo sul tema della perfezione. McGrath è ormai celebre per la sua capacità di indagare la mente dei propri protagonisti, creando un clima di suspense che difficilmente concede scampo al lettore, posto al centro delle emozioni narrate. La sua nuova protagonista, Constance, è una donna infelice che si rifugia in un frettoloso matrimonio, ma ben presto si renderà conto che aver sposato Sidney, un uomo ben più maturo, è soltanto un altro passo verso la ricerca di una figura paterna. Sul piatto della bilancia narrativa, McGrath aggiunge anche i sentimenti contrastanti che la protagonista prova per l’esuberante sorella minore, Iris, sua nemesi e detentrice di una sconvolgente verità che condurrà Constance verso il baratro della follia. 

Al Salone del Libro di Torino lei ha dichiarato che preferisce portare in pagina donne problematiche. Perché ha scelto Constance come protagonista de “L’Estranea”?

«Constance è nata dal desiderio di porre al centro del libro una donna che avesse dei rapporti problematici con il padre, proprio per tale motivo lei deciderà di sposare un uomo più maturo che vedrà come una figura paterna. Ma queste scelte comporteranno delle inevitabili conseguenze».

A differenza di altre sue protagoniste, Constance sembra in preda a passioni e sentimenti imperscrutabili. Dal punto di vista narrativo è stata una sfida gestire questo personaggio?

«Assolutamente. Constance è stato il personaggio più complesso e problematico che abbia mai creato, ho avuto davvero grosse difficoltà a capirla. Mi sono serviti quattro anni per scrivere questo libro, un tempo necessario per comprendere la vera natura della mia protagonista, il senso delle sue azioni».

Sin dalla prima pagina si ha l’impressione che Constance possa fare qualcosa di irrimediabile da un momento all’altro, quasi come se lei la rincorresse sulla pagina…

«Sono d’accordo. Questa perdita di controllo sulla mia protagonista è stata proficua per il ritmo e la profondità del libro ma è stata anche un’esperienza molto dolorosa, a volte. Non ero certo che sarei riuscito a terminare il libro, né se sarei stato in grado di trasmettere al lettore il fascino che Constance esercitava su me».

In generale lei sembra avere una netta preferenza per le protagoniste femminili. Trova più interessante l’universo femminile?

«Sin dall’inizio della mia carriera di scrittore mi sono reso conto che i problemi maschili mi annoiavano. Al contrario le problematiche del mondo femminile mi hanno sempre attratto, soprattutto quelle derivanti dal fardello aggiuntivo di dover interagire con gli uomini».

Per la prima volta ha deciso di scegliere un punto di vista alternato fra Constance e Sidney. Perché?

«Volevo mostrare come Constance leggesse la realtà, permettendoci di provare empatia per lei e per il suo modo di vedere le cose. Contemporaneamente volevo mostrare come quella stessa realtà apparisse agli occhi di un’altra persona, affinché il lettore potesse provare sensazioni e stati d’animo differenti, pur se derivanti dai medesimi eventi».

La sua fama è certamente legata alla grande capacità di leggere i processi logici e illogici dei suoi personaggi. Com’è nata questa particolare passione?

«Il mio grande interesse per la natura umana e le emozioni talvolta laceranti che siamo capaci di provare, li devo a mio padre che ha certamente avuto una fortissima influenza su di me. Proprio grazie a lui (ha lavorato a lungo nel manicomio criminale di Broadmoor come psicologo, ndr) mi sono interessato alla letteratura psicologia e alle opere di psichiatria, soprattutto quella di Freud. Da romanziere ciò ha comportato un particolare interesse per la vita interiore delle persone, per il loro modo di leggere la realtà e l’interazione con gli altri.

Lei scrive “credo che ciascuno di noi si crei il proprio destino, scegliendo se restare vittima o no, della propria infanzia”. Cosa ne direbbe Freud?

«Freud non avrebbe avuto problemi con quest’affermazione, non era un determinista e dunque non credeva che noi fossimo destinati ad esprimere nella nostra vita le nevrosi trasmesse dai nostri genitori. Nondimeno certamente suggerirebbe di ricorrere alla psicanalisi per affrontare il bagaglio emotivo ma io sono convinto che non si debba necessariamente ricorrere ad uno specialista per risolvere i nostri problemi, anzi, credo che ci si possa curare da soli».

Non crede che un pizzico di follia serva a raggiungere la felicità?

«Certo. Ci sono tracce di pazzia nei nostri gusti musicali, nel nostro abbigliamento, nel senso dell’umorismo, nella fantasia e nel modo in cui si esprimiamo al di fuori del contesto lavorativo. Senza dubbio c’è un pizzico di pazzia anche nei nomi che diamo ai nostri figli».

Francesco Musolino®

Fonte: La Gazzetta del Sud

 

«La letteratura disincanta». Parola di Ian Sansom

Con il gustoso Galeotto fu il libro (Tea edizioni; pp. 322; €12), le avventure del bibliotecario Israel Amstrong, ideato dal critico letterario e scrittore Ian Sansom, giungono al quarto capitolo. Antieroe per eccellenza con un’eredità nobile che pesca dalla letteratura sino al film muto, Israel è nato per decisione ferrea dell’autore ma anche per una felice coincidenza: “abito di fronte a una biblioteca, e ogni mattina lì davanti si ferma un bibliobus per rifornirsi di volumi: impossibile non celebrare una cosa come questa”. Sansom, inoltre, ha svelato il suo personalissimo rapporto con libri, critici e con l’atto stesso della lettura e non mancano certo le sorprese…

Per il Salone del Libro di Torino, Ian Sansom ha presentato al pubblico italiano il suo nuovo libro e Tempostretto.it l’ha intervistato.

La serie del Bibliobus di Tundrum è giunta ad un nuovo episodio: Ma dome è nata 0questa fortunata serie?

«È nata per un puro atto di volontà, per una decisione consapevole. Uno scrittore si siede e pensa: voglio scrivere un libro che abbia questi elementi: una biblioteca e un personaggio che sia “fuori luogo”, cioè che si trovi in un luogo a cui non appartiene. Così è nato Israel Armstrong. A cioè si aggiunge il fatto che abito di fronte a una biblioteca, e ogni mattina lì davanti si ferma un bibliobus per rifornirsi di volumi: impossibile non celebrare una cosa come questa».

Per creare il suo protagonista si è ispirato almeno in parte a qualche personaggio letterario? «Israel è un genere di personaggio che troviamo spesso in letteratura: si sposta, vaga, non ha un luogo fisso e sicuro nel mondo. In questo è un personaggio ricorrente, sempre alla ricerca di qualcosa, anche quando non sembra così evidente. Israel è vicino a molti antieroi che troviamo nei romanzi del XX secolo, come “L’uomo senza qualità” di Robert Musil o “Ho servito il re d’Inghilterra” di Bohumil Hrabal. Ma in Israel ritroviamo anche i fratelli Marx e i personaggi del film muto, quindi si avvicina a esempi in parte letterari e in parte cinematografici».

Un critico letterario ce lo si figura serio e borioso, al contrario lei brilla per fantasia e humor. Questa serie è anche un modo per non prendersi troppo sul serio e imparare a godere semplicemente del piacere letterario?

«In realtà spero di fare il critico letterario scrivendo con la stessa arguzia e allegria che cerco di mettere nei miei libri. Credo che la critica letteraria, nei suoi aspetti migliori, possa essere gioiosamente creativa. Non mi piace differenziare le due attività in modo radicale. A volte le mie critiche letterarie hanno più allegria di alcune mie opere che invece vengono considerate molto serie».

A proposito, che rapporto ha con i cuoi colleghi critici?

«Faccio una vita piuttosto da eremita: vado a lavorare, torno, leggo, scrivo. Se uno legge seriamente, finisce inevitabilmente per avere più rapporti con i morti che con i vivi. Ma sono certo che tutti i miei colleghi, critici e scrittori, sono persone simpatiche ed eccezionali».

Infine vorrei domandare ad Israel: fa bene leggere e perché?

«Non penso che la lettura funzioni come una medicina, che ti rende moralmente migliore. Molti di quelli che la consigliano ad ogni costo lo fanno come suggerire l’echinacea per il raffreddore. Credo piuttosto che il valore principale della lettura è che aiuta ad avere un punto di vista più disincantato. Spesso si dice che la letteratura incanta; secondo me, invece, disincanta. Quasi tutta la letteratura ha un messaggio universale: che la gente è cattiva. Insomma, la carta da parati non ci salverà se il muro crolla; ma è comunque piacevole avere una bella carta da parati».

 

Ian Sansom, inglese, vive vicino a Belfast con la sua famiglia. Collabora regolarmente con il «Guardian» e con la «London Review of Books» in qualità di critico letterario. Nel 2002 ha pubblicato The Truth About Babies, resoconto di un anno di gioie e orrori della paternità. Ha debuttato nella narrativa nel 2004 col romanzo The Impartial Recorder.

Sul web: www.iansansom.net

 

Fonte: www.tempostretto.it del 23 maggio 2011

«Gaber oggi ci manca ferocemente»: firmato Guido Harari

Esce oggi in libreria Quando parla Gaber – Pensieri e provocazioni per l’Italia d’oggi, pubblicato da Chiarelettere. Il suo curatore, il fotografo e critico musicale,Guido Harari ne parla a Tempostretto.it.

Quando parla Gaber è un volume ricco di spunti e riflessioni sempre attuali che spaziano su diversi temi, dal sesso alla coppia, dall’omologazione culturale all’impegno politico: «Gaber – afferma Harari – rompeva ogni schema, ribaltava ogni certezza, poneva quesiti scomodi, sollevava dubbi feroci. L’accusa di qualunquismo, mossagli soprattutto dalla sinistra, era il segno di quella miopia che tutt’ora affligge la società italiana». Questo secondo volume, concentrato esclusivamente sul peso delle parole del Signor G., giunge dopo il successo riscontrato dal ricco volume fotografico Gaber. L’illogica utopia (pp. 320; €59), realizzato grazie ad una stretta collaborazione con la Fondazione Giorgio Gaber.

Al Salone del Libro di Torino, venerdì 13 (Sala Gialla, h21) verranno presentati entrambi i volumi nell’ambito dell’incontro Gaber. L’illogica utopia. Pensieri e provocazioni per l’Italia di oggi. Interverranno Guido Harari, Paolo Dal Bon, Cesare Vaciago, Giorgio Gallione, Luca Telese, con delle letture di Marzio Rossi.


”Gaber. L’illogica Utopia”. Un titolo significativo: perché lo ha scelto?
«Ho voluto parafrasare il titolo di una bellissima canzone di Gaber e Sandro Luporini, L’illogica allegria. Il concetto di utopia era assolutamente centrale nella loro opera: esso rappresentava lo slancio vitale, la tensione morale, che sono, che devono essere, nel Dna stesso dell’uomo; l’unica vera garanzia di futuro di cui dispone. Quindi logicissima e cruciale utopia, ma purtroppo anche totalmente illogica nella deriva civile e democratica che ci soffoca».

Un altro volume ricchissimo di foto e documenti che giunge dopo quelli su Fabrizio De André, Fernanda Pivano e Mia Martini. Com’è nata l’idea di celebrare Gaber e come si è mosso per reperire tanto materiale inedito?
«Viviamo un vuoto civile che Gaber, insieme a Pasolini e a pochi altri illuminati, aveva anticipato. Questo silenzio morale andava infranto. Di qui la “missione”, per me, di ridare la parola a Gaber. Ho creato così un percorso parallelo rispetto alla sua opera, andando a ricucire una specie di “autobiografia” ricavata da cinquant’anni di interviste, di registrazioni radiofoniche e di incontri col pubblico in teatro, di appunti e altro ancora. Come già nella Goccia di splendore, il libro dedicato a De André, non mi sono sostituito né sovrapposto alla viva voce dell’artista, ma ho inteso “fotografare” la dinamica, inquieta e eternamente in progress del suo pensiero. In questo sono stato aiutato oltre ogni immaginazione dal copioso archivio della Fondazione Giorgio Gaber, e da Dalia Gaberscik e Paolo Dal Bon, che ne sono il motore, a cui vanno la mia gratitudine e il mio affetto per la fiducia dimostrata e per il prezioso lavoro di editing condiviso assieme».

È interessante notare come Gaber oggi, non solo non ha perso importanza, anzi, continua ad essere un mito, un punto di riferimento della società civile. Ma qual è la sua forza, la sua unicità a suo avviso?
«La forza di Gaber, e anche di Sandro Luporini, che per oltre trent’anni è stato quasi un fratello siamese per lui, firmando insieme a lui tutti gli spettacoli del Teatro Canzone e un’infinità di canzoni, è stata la sua preveggenza. Da un artista non ci si aspetta che colga la realtà in movimento, ma che la anticipi. Gaber rompeva ogni schema, ribaltava ogni certezza, poneva quesiti scomodi, sollevava dubbi feroci. L’accusa di qualunquismo, mossagli soprattutto dalla sinistra, era il segno di quella miopia che tutt’ora affligge la società italiana. Col senno di poi, leggendo oggi i suoi testi di venti o trent’anni fa e guardando in faccia la realtà in cui viviamo, non si può non rendersi conto della patetica afasia della politica italiana».

Al Salone di Torino, insieme a Paolo Dal Bon, Giorgio Gallione, Cesare Vaciago, Luca Telese e Marzio Rossi, presenterà, oltre a L’illogica utopia, anche il nuovissimo Quando parla Gaber, un volume radicalmente diverso dal precedente, incentrato più propriamente sull’aspetto civile del pensiero del Signor G. Di cosa si tratta?
«Sì, non ci sono biografismo qui né canzonette. Il sottotitolo del libro è “Pensieri e provocazioni per l’Italia di oggi”. Un libro da usare come bisturi, per incidere la realtà quando, come scriveva Pasolini, “il fiume della storia ristagna”. Gaber si dichiarava “filosofo ignorante”: masticava Adorno e Marcuse, ma aveva il dono di rendere istantaneamente accessibile a chiunque un preciso progetto di coscienza civile e di etica nuova. In questa messe di brevi frammenti di testo in forma quasi aforistica, Gaber ci parla della politica, dello Stato, del Sessantotto e della sua “razza”, della libertà, dell’utopia rivoluzionaria, della cultura, della televisione, della famiglia, della coppia, della fede, della solidarietà, del declino della coscienza, della nevrosi infantile dell’umanità, della sconfitta del pensiero, della dittatura del mercato e degli oggetti, dell’omologazione culturale di pasoliniana memoria, della stupidità dilagante, fino al bilancio amaro della sua “generazione che ha perso”. Ma tocca sempre e solo a noi, ci dice Gaber, allontanare i fantasmi di un futuro senza rimedio, di un futuro senza Italia».
Infine vorrei chiudere con un suo personale ricordo che la lega a Giorgio Gaber…
«Gaber fa parte del mio Dna, fin da quando, ancora piccolo, lo vidi per la prima volta in tv. Erano gli anni Sessanta e nei suoi successi, fatti di ironia e melodie orecchiabili, già si insinuavano la coscienza civile e l’inderogabile “impegno” del futuro Teatro Canzone. Lo conobbi tardi, nei primi anni Ottanta, quando rilanciò lo storico duo con Enzo Jannacci. Poi seguirono diverse lunghe interviste e molte fotografie, in scena e fuori. Colpivano la sua infaticabile capacità di analisi, la sua curiosità per il punto di vista dell’altro, il desiderio di rompere ogni schema, di spostare il prossimo dai vicoli ciechi dell’ovvietà dogmatica. Sulla scena poi era un artista totale, che usava non solo la voce, ma ogni nervo, ogni muscolo, per raggiungere, coinvolgere e scuotere anche l’ultimo spettatore in fondo alla sala. Come lui, ne nasce uno solo al secolo, se va bene. Inutile dire che la sua mancanza si fa sentire sempre più ferocemente».

 

 

Guido Harari Nato al Cairo d’Egitto, nei primi anni Settanta avvia la duplice professione di fotografo e di critico musicale, contribuendo a porre le basi di un lavoro specialistico sino ad allora senza precedenti in Italia. Ha firmato copertine di dischi per Claudio Baglioni, Angelo Branduardi, Kate Bush, Vinicio Capossela, Paolo Conte, David Crosby, Pino Daniele, Bob Dylan, Ivano Fossati, BB King, Ute Lemper, Ligabue, Gianna Nannini, Michael Nyman, Luciano Pavarotti, PFM, Lou Reed, Vasco Rossi, Simple Minds e Frank Zappa, fotografato in chiave semiseria per una storica copertina de L’Uomo Vogue.
È stato per vent’anni uno dei fotografi personali di Fabrizio De André. Ha al suo attivo numerose mostre e libri illustrati tra cui Fabrizio De André. E poi, il futuro (Mondadori, 2001), Strange Angels (2003), The Beat Goes On (con Fernanda Pivano, Mondadori, 2004), Vasco! (Edel, 2006), Wall Of Sound (2007) e Fabrizio De André. Una goccia di splendore (Rizzoli, 2007). Da tempo il suo raggio d’azione abbraccia anche l’immagine pubblicitaria e istituzionale, il reportage a sfondo sociale e il ritratto di moda.

 

Sul web: www.guidoharari.com

http://www.chiarelettere.it/libro/fuori-collana/gaber-lillogica- utopia.php

Fontewww.tempostretto.it del 5/5/2011