Fra Caravaggio e la vendetta spietata. Il ritorno di Lisa Hilton, aspettando “Ultima”.

DOMINA, LISA HILTON, LONGANESI pp.416 EURO 16,90

FRANCESCO MUSOLINO

Bionda, occhi cerulei, una laurea in Storia dell’arte ad Oxford e un talento per la scrittura che mescola adrenalina e ambientazioni suggestive, ironizzando sull’ego dei nuovi ricchi e concedendosi venature d’eros. La scrittrice inglese Lisa Hilton parla perfettamente l’italiano e con il suo libro d’esordio, Maestra (Longanesi), ha venduto  un milione nel mondo, tradotta in quarantadue paesi e destinata a sbarcare in tv con una serie prodotta da Amazon Studios. Con il secondo capitolo della sua trilogia, Domina riporta al centro della scena la sua eroina Judith Rashleigh, una donna bellissima, fiera e altamente pericolosa, disposta a seminare cadaveri sul proprio cammino per prendersi ciò che la vita le ha negato. Dimenticate le protagoniste remissive alla Rossella O’Hara perché Judith non crede nell’amore, considera i sentimenti un mero impedimento e rivendica il diritto di concedersi il piacere carnale senza alcun senso di colpa. Nelle primissime pagine di Domina, Judith ha provato a cambiare identità e ha aperto una piccola galleria d’arte nella sua amata Venezia – in cui la Hilton progetta di trasferirsi presto, con la figlia adolescente – cogliendone le sfumature di luce, incensandone la bellezza decadente. Occasione perfetta soprattutto per mettere all’indice il mondo dell’arte moderna e l’idea che si possa decidere a tavolino chi sarà il prossimo artista che il pubblico adorerà, immolando le emozioni dinnanzi al portafoglio. Ma la Hilton non crede nel lieto fine e nel giro di poche pagine quel mondo dorato e intoccabile, andrà in frantumi, ridotto in polvere e pulviscoli proprio alla stregua di un vetro di Murano. La trappola scatta con le sembianze di un ricco oligarca, Pavel Yermolov, che convoca Lisa per sottoporle la sua maestosa collezione e ottenere una valutazione; abbagliata dall’offerta e dalla possibilità di posare i propri occhi su alcune opere inestimabili, Judith vacilla e troppo tardi si renderà conto di essere finita in una trappola fatale. Centrale, come detto, è il contesto delle case d’asta e del mondo dell’arte tout-court e se nel primo libro l’artista di riferimento era Artemisia Gentileschi, stavolta al centro della scena troviamo Caravaggio, cogliendo sia i lati oscuri della biografia che le suggestioni per il presunto ritrovamento di una sua opera inedita, scatenando una adrenalinica battaglia fatta di mosse e contromosse, depistaggi e abboccamenti, destinata a lasciare sul campo altre vittime, più o meno colpevoli. Come andrà a finire? Presto per dirlo, ma la Hilton ha appena annunciato che la prossima primavera sarà pubblicato anche il terzo volume, Ultima, ambientato in parte in Calabria, decisa a “raccontare l’Italia da un punto di vista non convenzionale”, lasciandosi ispirare dalla controversa vita di Paul Gauguin.

FONTE: IL MESSAGGERO, 2017

“Il crepuscolo degli chef” di Paolini. Il lato oscuro del voyuerismo gastronomico.

 

 Gli chef intesi come una metafora della nostra concezione puramente mediatica del cibo. Con questo intento, il giornalista Davide Paolini ha scritto “Il crepuscolo degli chef” (Longanesi, pp. 216 euro 16.40). Altrimenti noto come Il Gastronauta, Paolini scrive di cibo dal 1983 ed è una delle voci più celebri di Radio24. Punto di partenza di questo saggio è il fatto che il cibo è diventato un’ossessione. Ha colonizzato internet (13 milioni di foto su Instagram, 25.000 blog, 1.000 siti web che raggiungono ogni mese oltre 35 milioni di persone), ammicca dalle vetrine delle librerie e domina anche in tv con format di successo – da “Cucine da Incubo” a “4 Ristoranti”, da “Hell’s Kitchen” a “Masterchef”. Eppure Paolini sottolinea come dietro tanto clamore ci sia un settore in crisi, difatti nel 2015 c’è stato un saldo nettamente negativo, con 7292 esercizi commerciali legati al cibo che hanno chiuso i battenti. “Guardare la tv e sognare non è alimentazione ma spettacolo”, afferma l’autore ma nonostante la crisi, si “moltiplica a dismisura il fenomeno del voyuerismo gastronomico”. In tale ottica secondo Paolini va intesa la moda imperante della cucina a vista, “protetta da uno schermo di vetro come se fosse un acquario per consentire ai commensali di assistere alla rappresentazione della messa in scena dello chef”. E in questa situazione il proliferare dei “cibi senza qualcosa” (senza glutine, senza olio di palma) rischiano di diventare solo l’ennesimo boom economico, come testimonia il successo del Kamut, definito da Paolini, “il novello Figaro”. Ma è tutto da buttare via? Nient’affatto a patto di riuscire ad invertire il senso di marcia. Secondo l’autore dovremmo ricordare la lezione di Roland Barthes, perché oggi più che mai il cibo è un sistema di significazione, una vera e propria lingua. Dovremmo nutrirci non tanto, non soltanto di alimenti, ma “di valori e contenuti insiti” nella nostra cultura. Per far ciò è necessario ricominciare a puntare sulla tradizione, sui prodotti locali, accantonando l’idea folle della cucina spettacolo e riabbracciare, finalmente, la terra.

IL CREPUSCOLO DEGLI CHEF. Gli Italiani e il cibo tra bolla mediatica e crisi dei consumi. Davide Paolini; pp: 216 € 16.40

FRANCESCO MUSOLINO

Fonte: Gazzetta del Sud

“Dal dolore dobbiamo trarre la forza per rinascere”. Intervista a Dorit Rabinyan al TaoBuk 2016

Dorit Rabinyan
Dorit Rabinyan

Liat ha appena conosciuto Hilmi. Si trovano a New York e le Torri Gemelle non ci sono più. Ogni amore nasconde insidie ma quello fra i due protagonisti di “Borderlife” (Longanesi editore, pp. 384 euro 16,90), il nuovo romanzo della scrittrice israeliana Dorit Rabinyan, si presenta come una vera fatica d’Ercole. Perché lei è ebrea e fa la traduttrice mentre lui vive a Brooklyn, fa il pittore ed è palestinese. “Borderlife” è una grande storia d’amore impossibile che sfida la ragione e i tabù, un potente inno alla pace. Eppure questo libro è stato bandito dal ministero dell’Istruzione israeliano («è stato uno shock ma la comunità intellettuale mi ha sostenuta») perché considerato una “minaccia all’identità ebraica”. Un controsenso assoluto che ha spiazzato l’autrice, facendo ottenere una visibilità internazionale a questo romanzo il cui unico messaggio è quello di dare all’amore la chance di superare tutte le barriere. La scrittrice e sceneggiatrice israeliana Dorit Rabinyan è stata una delle protagoniste più attese della terza giornata della sesta edizione del TaoBuk International Book Festival, dialogando sulla terrazza dell’Archivio Storico di Taormina con lo scrittore Moni Ovadia sul tema “Che questo amore sia un’isola nel tempo”. Israele e Palestina nello stato libero della letteratura. Continua a leggere ““Dal dolore dobbiamo trarre la forza per rinascere”. Intervista a Dorit Rabinyan al TaoBuk 2016″

«Ho sempre saputo che sarei stato uno scrittore». Wilbur Smith, il re del best-seller, si racconta

Wilbur Smith
Wilbur Smith

Con 122 milioni di libri venduti nel mondo, di cui ben 24 in Italia, Wilbur Smith è considerato il re dei bestseller dell’editoria moderna. Nato in Rhodesia del Nord – oggi Zambia – nel 1933, dopo aver condotto un’adolescenza davvero avventurosa – a soli 8 anni uccise il suo primo leone – il destino lo parcheggiò in un ufficio statale come contabile per quattro lunghi anni. Gli si prospettava un futuro agiato ma piuttosto sobrio per i suoi gusti ed inoltre i suoi primi libri furono rifiutati da numerosi editori. Finché cambiò il vento. Nel 1964 scrisse “Il destino del leone”, mettendo in pagina ciò davvero conosceva e lo emozionava: la sua Africa, la passione per le belle donne e la fame per l’avventura. Nacque così una vera e propria cavalcata nel segno del successo che lo consacrò ben presto, come il re incontrastato dei romanzi d’avventura. Oggi, 82enne, è ancora sulla cresta dell’onda e gira il mondo con la sua quarta moglie, Niso – più giovane di trentanove anni – conosciuta nel 2000 in una libreria londinese mentre stava per acquistare un libro di John Grisham… A proposito di amore, la scintilla fra Wilbur Smith e i lettori italiani è scoccata subito tanto che quest’anno ha scelto l’Italia per l’anteprima mondiale del suo ultimo romanzo, “Il dio del deserto” (Longanesi pp.496 €19.90) in cui ritorna in pagina, ben 22 anni dopo, il suo alter ego, Taita, riaprendo il celebre “ciclo egizio”, nato nel 1993 con “Il dio del fiume”. In questa nuova avventura, Taita, il fedele e geniale consigliere del Faraone, vestirà i panni del mentore per le giovani figlie della regina Lostris – Tehuti e Bakhata – ma dovrà soprattutto affinare le sue arti di stratega per tenere sotto controllo la minaccia degli hyksos, i nemici di sempre, che hanno preso possesso del delta del Nilo, minacciando il regno del Faraone. Una trama avvincente e ricca di colpi di scena, incentrata sulla necessaria alleanza con il re Minosse, in cambio della quale verrà richiesto un sacrificio estremo per Taita. La Gazzetta del Sud ha incontrato Wilbur Smith dialogando delle regole del successo, della sua passione per la scrittura e delle prossime sfide future, nel segno di William Shakespeare… Continua a leggere “«Ho sempre saputo che sarei stato uno scrittore». Wilbur Smith, il re del best-seller, si racconta”

Ildefonso Falcones non ha dubbi: «Oggi viviamo in una situazione economica paradossale».

Il suo romanzo d’esordio gli è valso milioni di copie vendute nel mondo eppure l’ha dovuto riscrivere ben nove volte prima che un editore spagnolo lo prendesse in considerazione. Era “La cattedrale del mare” con cui Ildefonso Falcones – già avvocato di successo – è divenuto famoso, bissando il successo con “La mano di Fatima”. Una trilogia degli esclusi che trova compimento con il suo nuovo romanzo, “La Regina Scalza” (Longanesi, pp.704 €19,90). Il sentimento principale di questo libro che ruota attorno alla musica e alla schiavitù, è certamente l’amicizia che lega le due protagoniste e narratrici – Caridad e Milagros – e andranno incontro ad un destino assai diverso, muovendosi su un palcoscenico storico davvero significativo come il tentativo di sterminio ai danni dell’etnia gitana, messo in pratica nel XVIII° secolo. Dopo aver parlato di ebrei e moriscos, Falcones torna a parlare dei reietti e dei perseguitati occupandosi di un popolo senza tradizione scritta e perennemente frainteso. Una lunga chiacchierata in un noto albergo milanese durante la quale si è discusso anche di scrittura, politica, economia e fortuna editoriale: “il talento è importante ma la fortuna è l’unica condizione necessaria per raggiungere il successo. Ma nonostante il successo non lascerei mai il mio studio: in tribunale incontro gente vera ogni giorno e questo mi permette di restare con i piedi per terra”. Continua a leggere “Ildefonso Falcones non ha dubbi: «Oggi viviamo in una situazione economica paradossale».”