“I miei tre giorni divertiti”. Nadia Terranova #readerguest su @Stoleggendo

0f4MzQm-“Quando Francesco Musolino mi ha invitato a @Stoleggendo mi sono chiesta come avrei differenziato la mia ospitata dal mio tuittare d’ordinanza, nel senso: visto che parlo sempre di libri, in fondo cosa sarebbe cambiato sotto mentito account?

Nei tre giorni da #readerguest ho tirato fuori classici della mia vita tipo Gesualdo Bufalino, con hashtag inventati sul momento come #Bufalineide: nuove spoglie per vecchie ossessioni. Ho spacciato, fra rituìt e link, tutto ciò che mi interessava e vedevo nascere sul momento, come le storie quotidiane di @abbiamoleprove. Ho omaggiato l’illustrazione, arte del nostro tempo che nessun e-book potrà cancellare, attraverso artisti come Lorenzo Mattotti. Rispetto al tuitter normale, sai che sei lì transitoriamente e questo crea una velocità diversa; ti accorgi che sei parte di una comunità e per un’individualista possessiva come me può essere spiazzante.

Poi ti fai una tazza di tè, clicchi “invia” e non ci pensi più”.

Nadia Terranova, #readerguest del progetto lettura noprofit @Stoleggendo dal 10 al 12 aprile

«Con “House of Cards” racconto il lato oscuro della politica. E il suo fascino irresistibile». Lord Michael Dobbs si racconta

Lord Michael Dobbs
Lord Michael Dobbs

È il 1987 quando Lord Michael Dobbs litiga con la lady di ferro, Margareth Thatcher e fuoribondo ma anche addolorato, parte in vacanza con la propria moglie. Dobbs per anni braccio destro della Thatcher – capo del suo staff negli anni al n.10 di Downing Street da primo ministro, dal 1979 al 1990 – aveva intuito che il regno della Thatcher stava per tramontare e pur non avendo mai scritto fiction, un po’ per svago e un po’ per frustrazione, creò il personaggio di un perfido e cinico politico, Francis Urquhart, il cui destino era quello di spodestare il primo ministro e conquistare il potere, mediante una sordida e acuta rete di ricatti e inganni. Scritto ventisette anni or sono, House of Cards, è il romanzo d’esordio bestseller di Lord Michael Dobbs da cui nel 1990 è stata ricavata una miniserie di grande successo della BBC; inoltre, pochi anni or sono è nata una seconda trasposizione targata Netflix, ambientata negli Stati Uniti con attori del calibro di Kevin Spacey e Robin Wright nel ruolo della coppia di protagonisti. Una serie di enorme successo – il presidente Barack Hussein Obama ha twittato “Domani c’è House of Cards, non ditemi nulla” -pronta a sbarcare in Italia, mercoledì 9 aprile, al lancio del canale satellitare Sky Atlantic. Proprio in tale occasione la casa editrice Fazi ha pubblicato il romanzo “House of Cards” (pp.446 €14,90) in cui si narra la scalata al potere del chief whip, Francis Urquhart, partendo da un semplice presupposto: cosa accade se l’uomo che detiene i segreti dell’entourage governativo è così scontento da decidere di far cadere il castello di carte e menzogne? Un libro davvero entusiasmante, ambientato nell’epoca post-thatcheriana, fra intercettazioni, ricatti fotografici e manipolazioni della stampa tanto da risultare di sconvolgente attualità e ciò spiega come sia stato possibile ambientare la serie tv americana ai giorni nostri, traslandola senza traumi alla scalata al successo del protagonista – Frank Underwood piuttosto che Francis Urquhart – verso la carica di presidente degli Stati Uniti, gettando luce sul lato oscuro del mondo politico, sovente con azzeccati echi shakespeariani. “C’è sempre un interesse superiore in politica – racconta Dobbs alla Gazzetta del Sud nella sua tournée italiana – peccato che a volte sia marcio”. Continua a leggere “«Con “House of Cards” racconto il lato oscuro della politica. E il suo fascino irresistibile». Lord Michael Dobbs si racconta”

Annarita Briganti racconta il suo romanzo d’esordio, “una piccola grande storia nell’Italia di oggi”.

Annarita Briganti (@Marina Alessi)
Annarita Briganti (@Marina Alessi)

«La mia vera ed unica ossessione è amare ed essere amata». La giornalista Annarita Briganti si racconta in una lunga intervista in occasione della pubblicazione del suo primo romanzo – della «sua creatura» – Non chiedermi come sei nata (Cairo editore) e trattandosi di una nota intervistatrice è molta la curiosità di trovarla, innanzitutto, dall’altra parte della barricata mediatica, a dover rispondere, piuttosto che a domandare.

Gioia Lieve è la protagonista/alter ego di Non chiedermi come sei nata ma si farebbe un gran torto se definissimo “leggero” il suo primo romanzo difatti, dopo un incipit bruciante (“Ho abortito dieci giorni fa”) la Briganti ci conduce per mano ma di corsa, nel turbinio esistenziale della sua protagonista cui la vita non offre alcun appiglio, né professionale né sentimentale.

Gioia Lieve viene dipinta come una delle principali protagoniste del precariato culturale italiano eppure è costretta a part-time di sussistenza pur di poter sopravvivere alla sua passione lavorativa e contestualmente, il suo partner, Uto, sembra fin troppo concentrato sul proprio Ego per poterle offrire un vero supporto emotivo in barba alle apparenze. Continua a leggere “Annarita Briganti racconta il suo romanzo d’esordio, “una piccola grande storia nell’Italia di oggi”.”

«La cosa davvero tremenda è l’inutilità del dolore». Federico Roncoroni racconta “Un giorno, altrove”.

POZ_6761Federico Roncoroni oggi ha 68 anni e vive a Como dove cura il prestigioso fondo delle opere di Piero Chiara sin dalla morte del grande scrittore italiano, avvenuta nel 1986. Intellettuale raffinato, Roncoroni è un rinomato linguista, autore di numerosissimi volumi di grammatica e antologie di testo italiana, nonché volumi critici e numerosi classici latini tradotti. Nel corso di quarant’anni di attività, Roncoroni ha cambiato molti pseudonimi firmando con il proprio nome solo pochi volumi come il più volte ristampato “Manuale di scrittura non creativa” (Bur, 2010, pp.543). A questi si aggiunge ora il suo primo romanzo, “Un giorno, altrove” (Mondadori, pp.391 €20), un libro molto forte in cui l’autore parla di dolore, morte, malattia e amore senza mezzi termini e partendo da fatti autobiografici. Difatti, alla vigilia di Natale del 1999, Federico Roncoroni ricevette una diagnosi spietata: «mi dissero che ero spacciato: linfoma non Hodgkin». Partì così la lotta per sopravvivere, attraversando la sofferenza della terapia, cercando e riuscendo a guarire per la donna che amava ma una volta guarito, lei era scomparsa. Riapparve anni dopo, già gravemente ammalata e ormai in fin di vita. Roncoroni ha voluto portare su pagina questa parte della sua vita, in balia dell’amore e del dolore per la malattia, con una delicatezza che sconvolge. In pagina il suo alter ego è Filippo Linati, un intellettuale maturo ritiratosi fra i suoi amati libri a Como, dopo esser sopravvissuto ad una malattia mortale. Finché la sua amata, Isa, riappare via mail dopo essere scomparsa per sette anni. Per mesi i due vanno avanti a scriversi mail – il lettore potrà leggere solo quelle di Filippo in un delizioso gioco a rimpiattino – portando in pagina un duello verbale, un gioco fatto di ricordi e rimbrotti fra amanti verso lo spiazzante epilogo finale…

Dopo numerose grammatiche italiane e libri per bambini firmati sotto diversi pseudonimi, con “Un giorno, altrove” ha scritto il suo primo romanzo. Perché adesso?

«Mi sono reso conto d’avere il fiato e l’argomento giusto ma soprattutto mi son sentito finalmente padrone di una tecnica linguistica e narrativa adatta per scrivere il mio primo romanzo».

È vero che è nato tutto con una mail?

«Sì, un bel giorno mi arrivò la mail di una donna con cui ero stato insieme anni prima finché la nostra storia finì. Il libro è il frutto delle esperienze fatte nell’ultimo quindicennio, tutte incentrate sull’improvvisa scoperta di essermi gravemente ammalato. Mi davano per spacciato e mi sarei anche arreso ma le persone che avevo vicino non me lo permisero. Mi curai all’estero e il primario di oncologia mi disse “lei è già morto quindi non ha nulla da perdere seguendo le nostre cure”. Andò bene, contro ogni pronostico». Continua a leggere “«La cosa davvero tremenda è l’inutilità del dolore». Federico Roncoroni racconta “Un giorno, altrove”.”

Intervista a tutto campo con Zerocalcare: «Gli zombie sono mostri proletari, senza troppe pretese, per questo li amo»

Zerocalcare_-_Lucca_Comics_and_Games_2012Sta per concludersi il 2011 quando Zerocalcare dà alle stampe il suo primo albo di fumetti “La profezia dell’Armadillo”, prodotto con il supporto di un altro grande fumettista italiano, Makkox. Zerocalcare – al secolo, Michele Rech – dopo numerose fanzine e collaborazioni fra quotidiani e magazine, entrava così nel circuito editoriale sfornando poi, uno dopo l’altro, una serie di albi di grande successo: “Un polpo alla gola”, “Ogni maledetto lunedì su due” e infine “Dodici” (tutti editi da Bao Publishing). Il nostro viaggio nel mondo di fumetti e graphic novel riprende con il purosangue Zerocalcare, capace di veicolare la propria comicità tramite le strisce sui magazine, diversi blog online e gli albi in libreria con grande – e apparente – semplicità. I fumettisti di norma non amano l’incontro con il pubblico e lo stesso vale per Zerocalcare ma il suo successo – oggi è di gran lunga il fumettista più noto in Italia – fa si che i suoi incontri diventino dei veri e propri eventi, con i fan in coda per ore “solo” per avere la sua firma, come avvenuto al Castello Sforzesco lo scorso novembre, in occasione dell’incontro per BookCity. Perché Zerocalcare piace tanto ed è capace di ampliare il suo pubblico anche ai non lettori di fumetti? Possiamo senz’altro sottolineare una serie di elementi che denotano le sue storie: l’ostentazione delle sue origini testardamente romane – emblematico il suo ultimo albo, “Dodici” in cui il “suo” quartiere di Rebibbia viene invaso da un’orda di zombie – il refrain di alcuni personaggi metaforici – su tutti l’amico Secco e l’Armadillo visto come una sorta di Io/SuperIo – e soprattutto, un tratto originale e unico unito a dialoghi surreali, cervellotici eppure immediati ed esilaranti. Un successo talmente ampio e trasversale che non stupisce l’annuncio della lavorazione di un film tratto da “La profezia dell’armadillo”. E’ stato lo stesso Zerocalcare a darne recentemente l’annuncio, sperando che si punti ad un’autonomia del prodotto cinematografico senza però rinunciare in toto al linguaggio del fumetto. Staremo a vedere.

In “Dodici” ti cali in una dimensione horror inedita per te e lo fai con un devoto uso di citazioni a pennello. Ma com’è nata la storia? E’ vero che consideri gli zombie dei mostri proletari a differenza dei vampiri…?

«La storia è nata da una mia esigenza di staccare dai miei soliti temi e di provare a cimentarmi con una storia di fantasia, non autobiografica, che mi divertisse e rilassasse. E gli zombie, mio grande amore sin dall’infanzia, erano perfetti per questo scopo. E sì, li considero dei mostri proletari, o meglio dei mostri qualunque: non hanno quell’aura di aristocratici belli e maledetti tipica dei vampiri, non sono esotici come gli extraterrestri, sono il mostro di tutti i giorni».

Sempre in “Dodici” ho notato una cosa interessante. Le tue figure femminili sono spesso forti e decise, come Katya. In generale sembra anche una scelta per non far ricorso ai facili stereotipi…

«Sì, in realtà uno dei paletti che ho sempre cercato di rispettare nei fumetti è quello di non ricalcare mai gli stereotipi di genere, le divisioni di ruoli classiche tra maschi e femmine, è una cosa a cui tengo molto. Però è anche vero che la donna forte tutta d’un pezzo è anch’essa una sorta di stereotipo, soprattutto nell’epica zombie. Per questo ho cercato di dargli alcune sfumature che la stemperassero un po’…» Continua a leggere “Intervista a tutto campo con Zerocalcare: «Gli zombie sono mostri proletari, senza troppe pretese, per questo li amo»”